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  • LETTERA A MIO PADRE

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    Oggi è il mio ultimo giorno a Ponza. Oggi partiamo.
    Ho dovuto reprimere anche qui il desiderio di scrivere che avevo ogni giorno.
    Svegliarmi presto, guardare il mare blu, le casette colorate di Santa Maria appoggiate sulla collina, respirare l’odore del mare che sembra alleviare quel dolore che ho nel cuore, chiuso in una mano che tenta di stritolarlo.
    I gabbiani, la giornata limpida, la luce del sole ormai salito sull’orizzonte promettono bellezza, riparo da qualsiasi pensiero.
    Prima era stato il tramonto su Palmarola, il rosa, il lilla, l’arancione e l’isola appoggiata sul mare piatto come carta stagna.
    E la malinconia di non poter vivere sempre in un posto così, con il rumore del porto che culla i tuoi pensieri, un bar con i dolci della tua Napoli dove sedersi tranquilli a fare colazione, l’odore dei cornetti appena sfornati.
    Biglietto di sola andata. Lettere disperate per affermare il desiderio che non ho saputo realizzare, messo a tacere per troppo tempo che ora urla e strepita.
    Caro papà, in fondo mi sento sola perché mi manca il tuo amore. Mi manca come l’acqua quando hai le labbra secche. Con il tuo amore sono cresciuta, coltivando l’illusione che il mondo fosse un posto meraviglioso dove poter trovare la propria strada. Mi hai insegnato che si può e si deve credere in ciò che si fa con tutto il cuore, anche quando ciò che si desidera è difficile e contrario alla logica.
    Anche nei momenti in cui il mondo sembra rivoltarsi contro, anche quando gli amici sembrano tradirti e chi dovrebbe amarti e proteggerti sembra usarti per i suoi interessi.
    Se tu fossi qui ora ti parlerei per dirti che non riesco proprio ad essere arrabbiata con te.
    Se in qualcosa hai sbagliato non sarò io a giudicarti.
    E perché se hai sbagliato lo hai fatto con tutto il cuore e con tutta l’anima e le ferite sono state il tuo inferno.
    Sono come un’isola, sensibile ad ogni folata di vento, ad ogni mormorio delle onde.

  • PRIÈRE

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    Quand je suis dans le deuil
    Tu passes,
    Mon coeur est soulagé
    La rafale de ton âme laisse, comme une caresse, ton parfum
    Les autres n’arrivent pas à entendre tes pas legèrs
    Une larme chaude c’est ma prière

  • LO STILE NON È EFFIMERO COME LA MODA

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    Le donne che hanno incarnato lo stile spesso non erano belle nel senso classico del termine.
    La principessa di Metternich nel XIX secolo diceva “non sono carina, sono peggio”.
    Coco Chanel sapeva indossare come poche la robe noire con la sigaretta ed un collier di perle.
     Avere stile, ci dice Olivier Saillard, direttore del museo della Moda a Parigi, significa guardare la propria epoca, sapendosene affrancare, significa non essere tirannizzati dal presente né scimmiottare il passato. Lo stile comporta una buona conoscenza di sé, é un fatto di proporzioni tra il busto e le gambe. Questo significa che non tutti possono permettersi il pantalone a vita bassa. Bisogna avere il coraggio di resistere alle mode di passaggio. Avere stile significa  non mettere i vestiti al macero quando hanno più di una stagione! il riserbo è la vera eleganza e anche il distacco.
     Bisogna avere gusto per vestirsi; buono o cattivo, bisogna averne moltissimo!

  • UNA PIOGGIA DI STELLE

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    Una pioggia di stelle,
    il mondo, tu sei il mio mondo.
    Tu mi manchi
    Corro per poter stare qualche minuto, una manciata di ore con te!
    “Oh come sto bene con te!” mi hai detto oggi quando ti sono venuta a prendere all’asilo!
    E trattenere il respiro, per correre più forte e riuscire ad abbracciarti un pò prima
    Fare a pugni con una vita che non concede nulla al sogno, alla lentezza, all’amore

  • UN TOPO AL TRIPOLI

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    Una sera un topolino dal musetto carino è salito sulla tenda blu del Tripoli.
    Sembrava incuriosito da quella folla che si era fermata a guardarlo.
    Dall’alto osservava amici che si erano incontrati sull’isola. Forse gli amici non erano così cari, forse fare quel viaggio non sarebbe stato così necessario. Forse l’avventura era finita e tanto valeva riconoscerlo.
    Osservavo il suo musetto e non avevo il solito ribrezzo che mi suscitano i topi.
    Solo che ora, dopo aver assaporato l’entusiasmo e la gioia della scoperta non sapeva più come scendere, e si strofinava nervosamente il muso con le due zampette.Il cuore smarrito ed incredulo, il mondo visto da una tenda blu e quelle barche adagiate sull’acqua luminosa e argentea e la nostalgia per l’entusiasmo, la gioia ogni giorno nuova di provare a guardare il mondo da angolazioni diverse.

  • OGNI VIAGGIO

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    Ogni viaggio dovrebbe avere il suo libro e il suo diario.
    Ogni viaggio dovrebbe essere come un pomeriggio inquieto alla ricerca di qualcosa, tra musica e libri
    per ritrovare frammenti di sé.
    Ogni viaggio è come l’arrivo in porto, quando il movimento e la lontananza ti fanno sembrare che non ci sia posto, che invece magicamente compare.
    Non tutti i viaggi placano la sete dell’animo.
    Possono regalare neve ghiacciata, amata, impressa nella memoria o schizzi bianchi su un mare blu cobalto. Palazzi barocchi o mercati multicolori e chiese piene di candele.
    L’animo aperto e curioso si veste di bellezza

  • LA SCATOLA MAGICA

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    Oggi ho visto una nuvola perfetta. Ho guardato il cielo di un azzurro intenso e la nuvoletta bianca e soffice come zucchero filato è comparsa come in un quadro di Magritte.
    Non so dire in che modo una nuvola isolata nel cielo luminoso di una giornata estiva possa avermi reso felice, almeno per un attimo. Subito dopo ho avuto paura, è ritornato il pensiero assillante e sordo.
    Ho preso il telefono, ho composto il numero e ho disdetto l’appuntamento per l’odioso esame.
    L’ho solo rimandato. Ed ora per un pò di tempo terrò il mio cuore chiuso dentro delle scatole che ne attutiscono il battito e rendono insensibili le orecchie, i sensi al dolore.

  • AUSPICIO

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    Ti auguro
    dolce nipote
    di dare e ricevere
    l’amore di mille pianeti

  • DIARIO DI PIETROBURGO

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    Poter trarre dai viaggi quella gioia perfetta che prova un bambino a Natale è un privilegio.
    Oggi per me è stato un giorno bellissimo.
    Siamo stati al Teatro Mariinsky, nell’atmosfera da fiaba fatta di costumi variopinti, di coreografie simmetriche, di grazia e di leggerezza, abbiamo assistito allo Schiaccianoci.
    Questa mattina abbiamo camminato a lungo e senza stancarci mai per chilometri. I palazzi eleganti, di colori pastello, alcuni con la facciata di marmo.
    Abbiamo attraversato la Neva sul ponte più lungo di Pietroburgo, verso San Pietro e Paolo.
    Per scaldarci siamo entrati nel palazzo della Singer, un incantevole immobile stile liberty che ospita una enorme libreria ed un antico locale da dove si ammira la Prospettiva Nevskij sorseggiando la cioccolata più buona del mondo

  • ISTANBUL

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    Perdersi per le strade di Istanbul, smarrendosi tra le pagine dei romanzi di Orhan Pamuk.
    Amare le foto in bianco e nero di Ara Guler e con esse l’atmosfera rarefatta di una Istambul “datata” dove “il vecchio e il nuovo si uniscono in una trama di degrado, miseria e umiltà all’interno di una tradizione che continua nonostante gli sforzi di occidentalizzazione”(“Istanbul”, Einaudi).
    E non riuscire a staccarsi da quelle fotografie, come catturati dall’incantesimo di un mondo in bianco e nero fatto di sobborghi, di viali lastricati, di antichi tram.
    Amo la Turchia, amo i suoi abitanti, amo il rapporto conflittuale e complesso tra cultura orientale e cultura occidentale che ad Istanbul trova il modo di coesistere.
    Come sostiene il vincitore del premio Nobel  “Leggere romanzi significa confrontarsi sia con la fantasia dell’autore sia con una realtà che ci appartiene e ci incuriosisce”. E allora camminiamo per le vie di una città che non è fatta solo di case, monumenti e scorci mozzafiato, ma diventa per Pamuk una sorta di fragilità e indecisione su sé stesso e sul luogo cui appartenere. E ci rispecchiamo nelle acque del Bosforo, come nelle sue parole. “Scrivo perché la vita, il mondo, tutto è incredibilmente bello e sorprendente” e ancora ” scrivo per sfuggire alla sensazione di essere diretto in un luogo che, come in un sogno, non riesco a raggiungere”(“La valigia di mio padre”, Einaudi). Così, attraverso le sue pagine incantate ci sembra di vedere nei pomeriggi estivi quella luce straordinaria che unisce il rosso del cielo al buio misterioso del Bosforo, i suoi battelli con i comignoli fumanti.
    Ci viene voglia di prendere un motoscafo, come faceva l’autore da bambino, per spiare Istanbul sia da vicino, casa per casa, quartiere per quartiere, sia da lontano come una silhouette che cambia continuamente.
    Ci trasformiamo nei suoi abitanti distratti che camminano a bocca aperta, molti si scontrano, gettano a terra i biglietti, i coni gelati e le pannocchie e i pedoni procedono sulla strada, mentre le auto viaggiano sui marciapiedi. Riconoscersi anche nel sentimento di tristezza che accomuna Pamuk, che da bambino guardava il mondo e Istanbul attraverso un vetro appannato, e la sua città. E ci sembra di comprendere le parole dello scrittore quando dice che “Qui le rovine convivono con la città. Ed è questo ad affascinare molti viaggiatori e scrittori di viaggi. Ma le antenne della città ricordano ai suoi abitanti sensibili che la forza e la ricchezza del passato sono scomparse insieme a quella cultura, e il presente è povero e confuso e non si può confrontare con il passato”.