POSTS BY ILARIA

  • 1998

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    Mamìn, sei stata con me, Ludovico e Antonella a Modena per le prove del vestito.
    Hai fatto un lungo viaggio con noi e poi sei partita da sola in treno verso l’altro tuo figlio, papà.
    Sono malinconica perchè vorrei tutte le persone che amo vicine, ma so che devi andare

  • MELTING-POT

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     ” Abitiamo una casa dalle mura flottanti e quando non ci sono più le mura si smarrisce il senso di identità”David Grossman, considerato uno dei più grandi scrittori israeliani, descrive in questo modo  lo sforzo di molti intellettuali di comprendere l’identità del proprio Paese.
    L’approccio scelto dai fondatori di Israele ha un legame con le politiche di immigrazione dei paesi occidentali. Mentre negli Stati Uniti l’Immigrazione è stata libera fino agli anni venti e l’Immigration Act del 1924 fissava limiti numerici all’immigrazione in base alla nazionalità d’origine, nei documenti fondativi di Israele  viene espressa la necessità di una politica di immigrazione liberale.
    Guardare l’architettura Bauhaus dominante il centro di Tel- Aviv e comprendere come le prime comunità venivano dalla Polonia, dalla Germania e dall’Europa centrale. Non si può guardare alla realtà di Israele senza considerare che la sua popolazione è costituita da comunità anche molto diverse tra loro. Durante gli anni ’70 sono arrivati circa 170.000 immigrati russi e il loro numero é continuato ad aumentare negli anni ’80. Tra gli anni 80 e 90 è stata la volta di circa 80.000 Etiopi. In Israele vivono anche molti arabo-israeliani che preferiscono un Paese dove hanno migliori condizioni di vita e una libertà di espressione sconosciuta nei territori palestinesi. L’idea che prevale nell’immaginario collettivo è quella, quasi caricaturale, di uno Stato fondato sulla religione e i fatti che vengono usualmente raccontati dai media hanno rilevanza marginale. Mi riferisco, ad esempio, alla eco internazionale del tentativo della minoranza ortodossa di imporre la separazione tra uomini e donne sugli autobus. Ci sono artisti come Valentine Vermeil, diplomata alla École des Arts décoratifs   di Parigi che ci offre con i suoi scatti fotografici esposti nei più importanti musei del mondo, uno sguardo sulla realtà israélo-palestinese ritraendo le persone nella loro realtà di tutti i giorni: sulla spiaggia di Tel-Aviv, a pregare a Gerusalemme davanti le mura del pianto, o l’imagine di donne palestinesi che danzano sulla riva del mare a Yaffo.

  • INCIPIT

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    Forse è perchè l’autunno viene dopo l’estate, forse è perchè dal caldo sole estivo si passa al freddo e alla pioggia che precede l’inverno.
    Forse è per questo che l’autunno non mi piace, perchè d’estate sto tutto il giorno all’aperto  e in autunno si torna a scuola e si sta più al chiuso in casa. E non riesco proprio a capire perchè a mia mamma piace tanto l’autunno.
    A lei piace tanto andare nella casa in campagna dei nonni, dove in autunno le foglie degli alberi prima di cadere diventano di tanti bei colori: dal giallo, all’arancione, al rosso della vite americana.
    Anche a me in fondo l’autunno un pò mi piace, perchè mi ricorda la vendemmia dell’uva dolce e mi ricorda il nonno che toglieva le foglie sul prato, il camino con l’odore di legna e la padella bucata per cuocere le castagne sulla brace rossa, un grande tavolone di legno dove tutti noi ci riunivamo allegri e io e mia cugina che saltavamo sui mucchi di foglie scricchiolanti.
    Questo autunno non ho passeggiato nel bosco tanto amato, bardato nella giacca perchè fa freddo.
    Non ho aiutato il nonno a togliere dal prato le foglie gialle e arancioni che cadono dal grosso tiglio del giardino. Non sono andato nemmeno a Gubbio per vendemmiare e non ho aiutato lo zio a travasare il vino dell’anno scorso.
    L’autunno mi ricorda la fatica allegra della campagna,  mi ricorda la Peppa che ride con la faccia rossa davanti al camino, mi ricorda il sapore della farina impastata con l’acqua e la crescia che quando la mangi ti rimane un pò di cenere sulle dita.
    Mentre cammino con Bea sulle foglie cadute che assomigliano ad un tappeto gigante le prendo la mano, alzo gli occhi e vedo le strane forme che fanno gli uccelli quando se ne vanno.

  • MURA FLOTTANTI

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    Immersa nella sua acqua
    Vede la vita dietro mura flottanti
    Lacrime silenziose e calde
    Silenti sguardi freddi
    La sua casa, i sogni leggeri
    miraggio caldo nel deserto

  • EPPURE RILUCENTE

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    Organismo avulso
    Non omogeneo al mondo
    Scheggia conficcata in un corpo estraneo, sanguinante
    Guardarsi vivere automa autistico
    Via di fuga alla quotidiana gabbia

  • NEANCHE UNO È GIÀ TROPPO

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    Da quando ha avuto orecchie per ascoltare ho letto a mio figlio tante storie.
    Alcune erano storie vere.
    Lasciando per un attimo in disparte i sensi di colpa, posso sentirmi soddisfatta di avergli trasmesso il mio amore per la storia, per i fatti.
    E così come un fatto storico andrebbe analizzato il conflitto arabo israeliano, senza le lenti deformanti delle ideologie. Quello che mi colpisce in questi giorni, ma più in generale quando si parla di questo tema così complesso è che molte persone prendono posizioni molto nette senza alcun riferimento alla storia e ai fatti che ci hanno portato sino alla crisi attuale.
    Bisognerebbe ricordare che dopo la seconda guerra mondiale, quando la realtà dell’olocausto divenne nota a tutti, nei paesi occidentali la riluttanza ad accogliere gli ebrei superstiti non venne meno.
    Il governo canadese espresse lo spirito di molti altri governi quando uno dei suoi esponenti sentenziò: “Neanche uno è già troppo”. Occorre anche ricordare la risoluzione  181 dell’ONU che stabilisce la spartizione della Palestina in due Stati, uno arabo e uno ebraico. Questa risoluzione, accettata dagli ebrei, non è mai stata ratificata dagli arabi. Di qui l’origine del conflitto.
    Nella “Dichiarazione della fondazione dello Stato di Israele” si legge  “la catastrofe che si è abbattuta recentemente sul popolo ebraico, in cui milioni di ebrei in Europa sono stati massacrati, ha dimostrato concretamente la necessità di risolvere il problema del popolo ebraico privo di patria (…) Lo Stato di Israele sarà aperto per l’immigrazione ebraica”.
    Non si può parlare dello Stato di Israele, quindi senza far riferimento alla indifferenza del mondo occidentale di fronte ad un Paese anch’esso occidentale, che però è stato riconosciuto come tale dalla Santa Sede solo il 30 dicembre 1993.
    Non si può parlare dello Stato di Israele senza parlare di Yitzchak Rabin, che non perse mai di vista lo scopo fondamentale di tutte le operazioni belliche di Israele: difendersi e creare le condizioni per arrivare alla pace. Fu lui che il 13 settembre 1993 giunse alla firma della “Dichiarazione dei principi israelo-palestinesi”. Rabin pur avendo diretto numerose guerre, che sono state necessarie per la sopravvivenza di Israele, diceva che “la violenza corrode i fondamenti della democrazia israeliana. Bisogna condannarla, bisogna deplorarla, bisogna isolarla. Non è questa la storia dello Stato di Israele. Questa manifestazione deve trasmettere al mondo il desiderio di pace del popolo di Israele”.
    E il mondo che fa?

  • IO E TE

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    Leggere il romanzo di Niccolò Ammaniti e pensare che probabilmente non andrò a vedere il film.
    Non so, forse cambio idea.
    Il romanzo è bello e tragico, come la difficoltà di scoprirsi anche solo un istante per conoscersi.
    Il mondo dentro che non coincide con il mondo fuori.
    E la solitudine, la disperazione di essere trasparenti per paura di farsi male.
    Una finestra su noi stessi può aprirsi solo in circostanze magiche, anche in una cantina ammobiliata, quando due estranei alla fine diventano fratelli.
    La capacità di raccontare senza indulgere nel compiacimento del dolore è magistrale.
    Una nonna adorata sul letto di ospedale sussurra al nipote che è brutto morire così, che il corpo ti vuole trattenere in quell’agonia.Gli chiede di raccontarle una storia, e lui vorrebbe scappare altrove, per il terrore di  vedere chi ama morire.
    Eppure il ragazzino si ferma, racconta e riscatta tutti i codardi, come me.

  • LES CITRONNIERS

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    Mi sento israeliana. Vorrei esserlo. Non lo sono.
    Un paese nuovo, Israele con una storia millenaria emblema dell’umanità.
    Vorrei vivere accanto a persone che sono consapevoli del valore della vita e per questo vogliono rimanere vive.
    Voglio vivere in un luogo che non è un luogo, ma una metafora delle divisioni che attanagliano l’umanità.
     Voglio condividere il fermento culturale di un popolo giovane e ancorato alle sue radici.
    Forse solo camminando per quelle vie potrò vedere la cecità di un mondo conformista e cieco che non si sforza di comprendere perchè siamo tutti ebrei, siamo tutti divisi, dilaniati e per questo uomini.

  • SKYFALL

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    Non sono una fan di 007 e non ho più 17 anni. Eppure mi sono infatuata dell’atmosfera  insieme gotica e un pò retrò di Skyfall. Daniel Craig non è solo il bel tenebroso su cui poter contare per un colpo da cecchino, è innanzi tutto un uomo che riscopre le proprie origini e che non ha paura di aver paura. Forse Skyfall ci dice che “vecchio” è bello, anche se sembra una landa desolata, e una Aston Martin è meglio di una BMW.

  • LETTERE A UN GIOVANE POETA

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    C’è un proliferare di scrittori e di scritti di ogni sorta. Ho ripreso, allora, uno dei miei libri preferiti, Lettere a un giovane poeta di Rainer Maria Rilke, ed ho sottolineato un brano. ” Questo anzitutto: domandatevi nell’ora più silenziosa della vostra notte : devo io scrivere? Scavate dentro voi stesso per una profonda risposta. E se questa dovesse suonare consenso, se v’è concesso affrontare questa grave domanda con un forte e semplice “debbo”, allora edificate la vostra vita secondo questa necessità.(…)Ma forse anche dopo questa discesa in voi stesso e nella vostra solitudine dovrete rinunciare a divenire poeta,(basta, come ho detto, sentire che si potrebbe vivere senza scrivere, per non averne più il diritto).”